Donne molisane dimenticate: Madre Caterina Procaccitto



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“Danza di vita è Guardialfiera che, superba, si eleva alla storia e, vegliarda, difende le ore eterne scolpite con lame d’amore da Madre Maria Caterina Procaccitto, serva di Dio”.
Ritma così Filomena Domini poeta del Cilento. E “mi chiedo – osserva invece Michele Brigida da Varese – mi chiedo chi ha potuto mai deporre nel suo cuore di fanciulla derelitta, quel seme di abnegazione e integrità, già al trasmigrare di sua mamma in cielo, allorché la neonata aveva solo 17 giorni e, più tardi, rimasta orfana anche del papà trentenne, morto quando ella era piccina appena di 2 anni. Resta priva pure della , tacita vittima di uno spietato marito”.
E persino un fratellino, frutto di seconde nozze del babbo, vola in Paradiso prima di conoscere la terra. “Ed io qui – verseggia lo psicologo Basilio Fiorentino da San Giovanni Rotondo – io son qui a guardare quella Suora con meditabondi occhi nella sua molisana terra guardiense che, con capo chino, assorbe angosce e redime popoli e nazioni”.
“Nel Calvario della sua infermità – declama Angelo Giarletta – si addosserà il patire del Cristo e porterà in salvo ad Eboli, disperati, poveri e soldati, nell’infuriare dell’ultimo sanguinoso conflitto mondiale”.
Con queste ed altre tonalità, il Centro Studi “Perrazzelli” sta proponendo in questi giorni – i più vicini all’anniversario della sua morte – lineamenti e ricordi di Madre Procaccitto, deceduta ottantatreenne nel 1965.
Nata a Guardialfiera – lattante, sballottata fra crudeli parenti e padrini, malmenata da un disumano nonno anche a palette di ferro – a 6 anni è fatta salva dal Canonico don Nicola Romeo, il quale nel 1887 (anni di un mondo contadino povero, poverissimo) lo affida al Pio Istituto delle Orfanelle in erezione nella Valle di Pompei, luogo già di straordinaria promozione umana e cristiana, istituito da Bartolo Longo, ora Beato.
Carolina (è questo il suo nome al secolo) ricettata dal Commendatore Bartolo Longo e dalla sua Consorte Contessa Marianna Fornaro de Fusco, occupa nella camerata il posto dodicesimo fra le educande. Ma presto si verificherà il caso attraverso cui ella potrà essere adottata da coniugi Francescopalo ed Emilia Schettino da Castellammare di Stabia. Famigliola cristiana di modesta agiatezza. La mamma adottiva l’ama, la educa con formativi metodi, forse autoritari, severi. Anche la bimba, d’altro canto, rivela una natura ribelle, testarda, tendente alla menzogna. Ma addirittura qui, è la morte prematura di Francescopaolo, il”pater familias”, a capovolgere la nuova esperienza e, così, il vivere in casa, sprofonda in un clima di irritazione e silenzi.
Mamma Emilia riconduce Carolina a Pompei e supplica i Fondatori di riutilizzarla al servizio della Madonna. Invocazione respinta! La vedova riprende altro marito dopo tre anni. Trame fitte ancora d’avventure, di emozioni, di misteri s’intrecciano in breve tempo dentro il poema di Caterina. Nel dormiveglia d’una notte, la Contessa Fornaro, moglie di Bartolo Longo, vede e ascolta nel sogno la Vergine del Rosario che, per tre volte, l’impone: “Quella ragazza che sta a Castellammare dev’essere ripresa da te”. Ed ella torna. Torna in casa del Commendator Bartolo Longo, uomo di preghiera, luminoso esempio di laicato cattolico.
Questa mutata residenza di Caterina, si sgomitola a partire dal suo 13° anno, fra instabilità, pulsioni, emozioni di adolescenza, volubilità. E, seppur in mezzo a tanta bufera interiore, la notte di Natale 1894, scoppia in lei la vocazione alla vita consacrata. Caterina esorta il Commendatore ad attivarsi perché fosse destinata al Monastero Benedettino di Eboli.
Ci arriverà però il 22 giugno 1897. E lì, proprio in quello stesso luogo, fra monache vocali, ritrova a sorpresa sua sorella maggiore Maria Giuseppina, scampata pure lei dalle tribolazioni del paese. Maria G.ppina però, qualche anno dopo, lascia il monastero con l’assenso dell’Arcivescovo di Salerno, si sposa con Antonio De Maria ed espatria per gli Stati Uniti.
“Oh, che odissea, che realtà, che personaggi, tutti sconosciuti, impensabili!” Ed è proprio questa la stupefazione percepita dai convenuti agli incontri confidenziali del Centro “Perrazzelli”. Uno, ed uno solo però è stato colui a far dono a noi, su vassoio d’argento, di questo recupero magico di storia vera: è Giuseppe Barra l’indagatore acuto, il presidente del Centro Culturale Studi Storici di Eboli. Proprio lui che, il 1° dicembre 2012 anniversario di nascita della Procaccitto, tira fuori dalle stampe e presenta nel Salone del Convento, il volume: “Bartolo Longo e Donna Maria Caterina Procaccitto, Abadessa nel monastero benedettino di Eboli”. E’ la biografia della nostra suora di clausura, tratteggiata, con respiri di luce. Son le cronache giornaliere. E’ il suo “diario”, redatto con purità, con espressioni schiette, vigorose. E’ un narrare veloce, delicato come cristallo, su quei quadernini antichi dalla copertina nera e dai bordi rossi. Tutto un aroma, una polifonia d’amore; testimonianze di rinuncia, di umiltà, di umanità, di “abbandono”. Questa la parola sottintesa fluisce fra tutte le parole del libro, come corrente impetuosa e generosa. Ed è mirabilia di sbalordimento e santità l’ “Appendice”: l’Epistolario, intrecciato con Bartolo Longo. E’ un carteggio ricco per spiritualità e profondità tematiche, prolungato nel tempo. Un patrimonio culturale, storico, politico, profetico.
Fino al quel 1° dicembre, Madre Caterina, era ignota, totalmente, anche nella memoria orale a Guardialfiera. Mai tornata in paese dal lontano 1887! Mai una sua comunicazione con chicchessia. Ed ora si ritrova splendente nel libro di Peppe Barra. Da lui solo sappiamo che Caterina veste l’abito di novizia il 17 settembre 1901 per le mani del venerabile Padre Giuseppe Maria Leone; che emette i voti il 24 febbraio 1903 assumendo, da religiosa, il nome di “Maria Caterina”; che al Convento dei Cappuccini a Morcone scopre Padre Bernardo Montano, sacerdote di Guardialfiera, il quale contribuirà alla sua fortezza spirituale e presiederà alla professione dei voti.
E’ Peppe Barra ad informarci come, per molti anni, Madre Caterina è maestra di novizie, che viene eletta Abbadessa il 21 novembre 1930 e che conserverà la carica fino al 25 agosto 1946. Fu lui a scoprire l’infermità severa che aggredì la Suora fin la domenica ottava dell’Epifania 1919, allorché ella, con grande umiliazione, dovette bloccare la recita in coro del Vangelo alle parole “Fili, quid fecisti nobis sic?” D’allora, allettata – e sebbene il pezzo maggiore del suo vivere l’avesse trascorso nella solitudine della cella, alternando la preghiera al digiuno – il suo scrivere, con la nativa originalità, la rivelano più grande e lavata, in una gioiosa e mirabile semplicità di vita.
Adesso Peppe Barra ci ha svelato il profondo buon senso di Madre Procaccitto, il carattere simpatico, sorridente, e benché inferma, esercitò un energico talento organizzativo ed innovativo. Intuì e, in qualche modo, anticipò di un ventennio, il contenuto della quarta Costituzione Apostolica del Concilio Vaticano II promulgata da Paolo VI, la “Gaudium et Spes”, gioia e speranza vissuta nella clausura con la propria carne e con le professe, e poi da lei suggerita a Giorgio La Pira – costituzionalista, sindaco della pace, terziario domenicano – come infallibile terapia per la politica e per il mondo contemporaneo.
Promossa dalla Prelatura di Pompei, è in fase d’istruttoria il lento processo di canonizzazione della religiosa di Guardialfiera. Si attende la “de primordialibus” la prima sessione cioé riguardante la promessa solenne dei giurati e l’acquisizione dei documenti stragiudiziali circa l’eroicità delle virtù di Madre Maria Caterina.

(Vincenzo Di Sabato)

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