Non svendere i segreti produttivi delle eccellenze italiane

Sta suscitando clamore, in Veneto, il rifiuto del Consorzio di tutela del radicchio rosso di Treviso Igp alla richiesta, da parte di un gruppo di produttori americani, di poter visitare le aziende locali. Il rischio, all’origine del diniego, è che visite del genere siano finalizzate ad apprendere tecniche e segreti secolari di coltivazione e di promozione per attivare nuovi mercati oltrefrontiera, come ha spiegato Andrea Tosatto, il presidente del Consorzio, il quale ha invitato i produttori di radicchio di Treviso a diffidare da iniziative analoghe.

Nulla da nascondere, ovviamente, ma il rifiuto è mosso dalla consapevolezza che in molte aree fuori dal nostro Paese si stia cercando da tempo di aprire mercati di produzione e di commercializzazione delle eccellenze italiane. Un fenomeno che ormai investe tutti i continenti, dall’America all’Asia, e che molti analisti stimano in almeno un centinaio di miliardi perso ogni anno a causa sia delle produzioni soprattutto americane che “scimmiottano” il nome del prodotto italiano (come l’ormai celebre “Parmisan”, ma ne sono investiti anche i pomodori San Marzano, la mozzarella di bufala, la pasta, i formaggi e i vini più rinomati) sia di coltivazioni prettamente italiane ma che avvengono a migliaia di chilometri di distanza dal nostro Paese.

La locuzione magica ed un po’ abusata è know-how, cioè l’insieme delle conoscenze e delle esperienze per il corretto impiego di una tecnologia, di un macchinario o di un impianto, in sostanza di ciò che serve per svolgere in modo ottimale un’attività. Non a caso gli imprenditori americani sono stati invitati in Veneto da un’azienda produttrice di macchine agricole con l’obiettivo non solo di spiegare come viene coltivato il radicchio, ma soprattutto di vendere loro alcuni macchinari. Proprio questa trasmissione di saperi oltrefrontiera viene spesso criticata dagli imprenditori italiani più avveduti e corretti: se per un’eccellenza italiana un ruolo fondamentale è svolto dall’ambiente autoctono, si pensi alla “complicità” delle condizioni atmosferiche, sono ormai tanti i tentativi di utilizzare aree estere dalle caratteristiche analoghe per produrre, ad esempio, vini con peculiarità almeno simili. Va aggiunto che i cambiamenti climatici stanno anche alterando le condizioni ottimale per produzioni italiani dalla storia millenaria.

Nonostante tutto, purtroppo, si tende spesso a comunicare proprio i segreti di questo know-how, ad esempio in corsi di formazione internazionali, che finiscono per sottrarre ai nostri produttore una ricchezza fatta di esperienza e di segreti trasmessi di generazione in generazione. Casi clamorosi ce ne sono stati tanti, come l’illustrazione delle tecniche olearie italiane a corsisti nordafricani.

“Negli Stati Uniti ci sono dei produttori che ci imitano e usano persino il nostro nome. Ora vengono pure qui e pretendono che gli insegniamo i nostri segreti. È ora di finirla – ha tuonato Tosatto. La ragione è dalla sua parte.

(Domenico Mamone)

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