Novembre e il culto dei defunti

Ernesto Olivero, teologo, poeta, pacifista; un meridionale di Mercato San Severino – in cordata con molti suoi amici – espugna il 2 agosto 1983 a Torino, i ruderi dell’antico arsenale di guerra e lo capovolge in una Cittadella di pace e di solidarietà.

A novembre, mese storicamente legato al culto dei defunti, questo personaggio tanto festevole, va inerpicandosi su sentieri sinuosi, pur di rifinire un po’ la forma dell’“Eterno riposo”, la popolare e semplice preghiera con la quale i cristiani invocano la luce e la pace di Dio sui loro morti. Egli suggerisce un altro titolo: l’”Eterna gioia”… dona loro o Signore.

Ad Ernesto Olivero, insomma, infastidisce il concetto di un “eterno sonnellino”, anche perché taluni ricavano nella orazione – così come elaborata – il riferimento ad un perenne dolce far niente nell’aldilà. Ad un ozio senza fine che, con l’andar dei secoli, rischierebbe di stufare perfino le anime beate per le quali – essendo in Purgatorio – non va ottimizzata l’eternità, poiché sono intrattenuti in quel luogo soltanto per uno scorcio temporaneo di purificazione, prima di giungere alla definitiva visione di Dio. Inoltre l’insistente implorato “riposo”, fa anche pensare a una forte volontà, da parte dei morti, di non essere molestati da nessuno; di voler “restare in pace”, lì, in quella orizzontale collocazione sepolcrale. E allo scopo di scansare tanta confusione, pure mons. Fabio Dal Cin, Arcivescovo prelato di Loreto, va introducendo man mano la locuzione dell’ “eterna gioia”, durante la preghiera dell’Angelus recitata a mezzogiorno nel Casa lauretana.
Ma già Papa Roncalli, il Pontefice bonaccione, già non tollerava il “Dies irae” nella Messa dei defunti, quella sequenza medioevale di alta ispirazione poetica attribuita a Tommaso da Celano – e poi musicata anche da Mozart, Giuseppe Verdi, Luigi Cherubini – dentro la quale, però, Giovanni XXIII v’intravedeva immagini drammatiche, tremori, panico, situazioni di spaventi e irrazionalità. Agli inizi del 1961 non vide l’ora di rimuoverla da tutte le Messe esequiali, fatta eccezione – solo temporaneamente – da quelle celebrate “in die obitus”, cioè nel giorno della sepoltura.

La travolgente riforma postconciliare si abbatte inesorabile su tutte le espressioni lucubri della morte. Nel 1966 Paolo VI azzera l’inquietante “Libera me Domine”: il responsorio cantato al momento dell’assoluzione del defunto accanto alla bara, subito dopo la Messa da Requiem e prima della sepoltura. Esso fu musicato pure da Serafino Marinosci ed eseguito in S. Marco a Milano il 22 maggio 1874 per l’anniversario della morte di Alessandro Manzoni.

Fino allora, nell’Ufficio dei Defunti, i Salmi non finivano “in gloria” ma con il “requiem aetrnam” (ancora contestato da Olivero); nell’Agnus Dei” non appariva il doppio Miserere nobis”, ma il “Dona eis requiem”. A conclusione della Messa non veniva pronunciato “l’Ite missa est”, ma il “Requiescant”. Anche il colore liturgico “nero”, è sostituito con quello luminescente violaceo.

L’altra vita, insomma – ha spiegato Papa Francesco il 26 novembre 2014 – non è una faccenda statica. E’ una realtà dinamica che porta a compiere la beata speranza e a raggiungere l’apice della beatitudine. E’ una concretezza dentro cui le nostre attese più profonde, saranno appagate in modo sovrabbondante, e saremo rivestiti di una inimmaginabile felicità.

E’ auspicabile che si possa pregare insieme ad Ernesto Olivero più o meno così: “L’eterna gioia, dona o Signore,  e a chi nella vita ha amato, ha sofferto; a chi è caduto . A chi ha sperimentatola debolezza  ma non ha perso la speranza. A chi non ti ha conosciuto e anche a chi ha impedito di conoscerti. Pure ai tanti  fratelli che, scorrettamente hanno falsato il tuo nome”

Vincenzo di Sabato

Articoli correlati