Per fare un buon formaggio ci vuole un prato naturale

Filatura della Mozzarella di bufala campana
@ Paolo Properzi / Archivio Slow Food

Il fatto che un formaggio sia “Made in Molise” non significa automaticamente che sia sano e buono. Ci vuole onestà e schiettezza nel dirlo. In passato è emerso, ad esempio, come tanti formaggi molisani sono realizzati con latte proveniente da migliaia di chilometri di distanza dalla piccola regione del Mezzogiorno, principalmente dall’Europa dell’Est. Per andare sul sicuro bisogna innanzitutto conoscere personalmente le aziende di produzione e nel contempo acquistarlo in loco.

Alla base della qualità ci sono soprattutto i prati naturali. E, a detta degli esperti, quelli più floridi si trovano in Irlanda, Spagna e Portogallo. Certo, anche in Molise, ma si tratta purtroppo di una minoranza.

I prati naturali restano fondamentali per mantenere la biodiversità – sia vegetale sia animale. In particolare per l’alimentazione degli animali che se ne nutrono e di conseguenza per il loro benessere, e naturalmente per la produzione dei formaggi sani e buoni, ricchi di complessità aromatiche e gustative. Purtroppo in Italia, Molise compreso, stanno via via scomparendo a causa dell’abbandono delle campagne, del consumo di suolo e dell’intensificazione dell’attività agricola.

Una conferma di questo quadro non certo esaltante è venuta da Cheese, la principale manifestazione sul mondo caseario, in occasione della conferenza “Se scompaiono i prati naturali”. I cosiddetti “prati stabili”, meglio definiti come “prati permanenti seminaturali”, sono terreni creati nel corso di migliaia di anni dall’uomo grazie al pascolamento degli animali. Per il loro mantenimento, l’attività antropica attraverso l’allevamento di erbivori è un servizio fondamentale. La tramsumanza, anzi le transumanze, per millenni hanno valorizzato proprio questo elemento.

“In Italia, la superficie occupata dai prati naturali è pari a 32mila chilometri quadrati, ma negli ultimi 40 anni abbiamo perso un quarto del totale – spiega Giampiero Lombardi, docente di alpicoltura presso l’Università di Torino. Le cause? Nelle zone di pianura principalmente l’urbanizzazione e l’industrializzazione dell’agricoltura, mentre in collina e montagna è stato il fenomeno opposto: l’abbandono, la fine dell’attività antropica, e così gli erbivori non pascolano più i prati e la natura si riprende i propri spazi. Sono campanelli d’allarme importanti”.

I “prati stabili” garantiscono biodiversità vegetale, e di conseguenza animale. Ricorda Irene Piccini, ricercatrice presso il Dipartimento di scienze della vita e biologia dei sistemi presso l’Università di Torino: “La caratteristica principale dei ‘prati stabili’ è che richiamano moltissimi insetti, fondamentali per l’impollinazione, che a loro volta attirano altri animali, come ad esempio gli uccelli e tutti gli altri predatori”.

Ma qual è la differenza tra un formaggio da “prati stabili” e uno prodotto con latte di animali che si nutrono di insilati, cioè di derivati vegetali stoccati in silos? Ce lo spiega Giampaolo Gaiarin, tecnologo alimentare e collaboratore della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus: “Il formaggio è la sintesi della biodiversità. In media, una vacca alimentata con insilati di mais riesce a sostenere un parto e mezzo, contro i sette, otto, anche dieci, di un animale delle vallate alpine, perché l’alimentazione ha un influsso notevole sullo stato di salute degli animali. E poi, ancora, la questione della maggiore complessità aromatica e gustativa e l’aspetto legato alla salubrità: i formaggi alimentati al prato ha un minore contenuto di grassi saturi, mentre aumentano gli Omega 3”.

Insomma, è difficile reperire un eccellente formaggio se non risponde innanzitutto al basilare presupposto dell’alimentazione naturale degli animali.

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