Le scuole riaprono con numeri che già preoccupano

C’è un primo dato, emblematico, che accompagna la vigilia della riapertura delle scuole. Lo ha fornito nelle scorse ore il commissario per l’emergenza Domenico Arcuri: ben il 2.6 per cento del personale docente e non docente che si è sottoposto al test sierologico per il Covid – pari alla metà circa di tutto il personale scolastico italiano – è risultato positivo al coronavirus. Si tratta di circa 13mila persone su 500mila. Non poche. A fronte di questi dati, si può ipotizzare che almeno altri 10mila docenti e non docenti positivi al Covid – che non si sono sottoposti al test – si presenteranno tranquillamente negli istituti scolastici per svolgere i propri compiti dal suono della prima campanella. A questi si aggiungeranno i tanti studenti positivi asintomatici: se si volesse applicare la stessa percentuale, sarebbero non meno di 200mila. E non si capisce perché non si sia provveduto ad effettuare anche a loro i test. Insomma, non è banale prevedere il forte contributo che la scuola darà al moltiplicarsi dei contagi, che potranno raggiungere numeri a diversi zeri come bilancio dell’intero anno scolastico.

Del resto, già prima di aprire la maggior parte dei cancelli delle decine di migliaia di istituti scolastici, non mancano i primi casi di studenti e personale scolastico risultati positivi: a Bibbiena (Arezzo) due bidelli sono stati trovati positivi al coronavirus e il sindaco è stato costretto a stabilire che i 600 alunni della scuola del paese, l’istituto “Dovizi”, comprensivo di asilo, elementari e medie, non rientrino alla data del 14 settembre ma il successivo 23 settembre. Altri casi stanno emergendo un po’ in tutta Italia.

Pur, ovviamente, riconoscendo il valore aggregante della scuola in presenza, su queste pagine abbiamo già espresso le nostre perplessità per aperture che potrebbero rappresentare un favore soprattutto al virus, dal momento che i disservizi saranno tanti, specie nel nostro Mezzogiorno. Perché, purtroppo, la scuola è anche specchio sociale. E la qualità della didattica ne risentirà sicuramente in un anno caratterizzato da emergenze e precarietà continue: mancheranno tanti professori, alcuni – i tanti non giovanissimi – hanno problemi oggettivi di salute o familiari e ciò comporterà una diffusa discontinuità; non è possibile ipotizzare comportamenti impeccabili per tutti i ragazzi “in presenza”, vista una certa dose di naturale immaturità e incoscienza connessa all’età; i banchi da soli non potranno garantire i necessari distanziamenti o i prevedibili assembramenti; mancheranno supporti di ogni genere, dagli strumenti di protezione (si pensi ai termoscanner, ai gel igienizzanti o alle stesse mascherine)  a quelli tecnologici per la didattica, a cominciare dall’efficienza delle reti. E c’è il serio rischio di strascichi legali per le situazioni più drammatiche, analogamente a quanto sta succedendo nella procura di Bergamo e in altre città del Nord Italia.

Il nostro non è ottuso pessimismo ma realismo. Come imprenditori crediamo che si debbano non solo migliorare gli standard gestionali, ma soprattutto individuare ciò che sarà più utile alla formazione degli studenti spendibile nel futuro. In questo senso, ai banchi preferiremmo investimenti nelle nuove tecnologie e nella didattica a distanza.

(Domenico Mamone)

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