“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
In questo primo articolo della Costituzione della Repubblica Italiana ci sono tre principi che i padri costituenti hanno voluto porre a fondamento dello Stato nato dopo la dittatura fascista: lavoro, democrazia e sovranità popolare.
Intanto si afferma con chiarezza come solo la sicurezza di un lavoro riesce a rendere libero il cittadino, mentre la precarietà di vita è causa di soggezione o addirittura di schiavitù mentale.
La democrazia come espressione della volontà popolare attraverso il voto è un altro elemento che connota la nuova società del dopoguerra.
Infine la sovranità del popolo, non riducibile alla periodica selezione dei rappresentanti dei cittadini nelle sedi istituzionali, ma consistente nelle decisioni sistematiche relative ai diversi problemi da affrontare e risolvere, è il terzo pilastro posto alla base della convivenza tra gli italiani.
Questi capisaldi sono oggi messi fortemente in discussione da una politica che ama definirsi post ideologica o ad estensione pragmatica, ma che invece, a nostro avviso, è pervasa ormai unicamente da una volontà di affermazione personalistica di soggetti individuali o di gruppi che si pongono chiaramente al di sopra ed al di là del “noi” per la ricerca esclusiva di potere e prestigio.
Le stesse elezioni diventano una finzione e si arriva ad un parlamento di nominati che nel loro mandato non rispondono più ai cittadini, ma a partiti trasformati in comitati al servizio di un leader o peggio ancora a lobbies economiche e finanziarie.
I nuovi sistemi tecnologici, capaci di rafforzare non solo la democrazia rappresentativa, ma anche quella diretta, hanno finito invece per negare una conquista generalizzata dello spazio sociale e della velocità di comunicazione; così l’impossibilità di accesso per tutti al sistema dei media ed al web produce, come sostiene Zygmunt Bauman, un nuovo patrimonialismo, nuove forme di oligarchie delocalizzate, gruppi economici transnazionali che, in maniera egoistica ed irresponsabile, ripropongono una personalizzazione del potere a loro uso esclusivo con una rifeudalizzazione della società in cui la cerchia dei signori che domina lo spazio globale riduce in sudditanza chi è vincolato ad un universo di vita angusto.
In un quadro del genere le istituzioni diventano un ingombro e si tenta di ridurne il ruolo di rappresentanza, colpendo al cuore una democrazia che, tra populismi e culto della personalità, non sta diventando “ibrida”, come la definisce Ilvo Diamanti, ma sta perdendo tutte le forme di rappresentanza e di sovranità popolare.
A questo ed a null’altro mirano i tentativi di revisione costituzionale, le caotiche manovre di modifica dell’assetto istituzionale, i funambolismi con cui si occupa il potere senza alcun mandato elettorale ed infine lo smantellamento dello stato sociale.
È ciò che sta avvenendo in questi giorni da parte del governo Renzi, il quale lancia annunci sconsiderati e tenta di convertili in leggi dello Stato non solo senza consultazione popolare attraverso le reti di rappresentanza, ma addirittura con ipotesi di voti di fiducia che riducono a zero perfino il confronto parlamentare.
Ecco allora il Jobs Act che non è l’estensione del diritto ad un lavoro certo per tutti, ma una precarizzazione dello stesso funzionale alla diminuzione dei costi di produzione ed alla completa presa in carico da parte dello Stato della disoccupazione nel Paese.
Sarebbero richieste dell’Europa, così almeno si sostiene; in realtà sono i diktat delle oligarchie finanziarie.
Eppure, amici lettori, è paradossale ed inspiegabile, ma, nonostante la fiducia degli italiani nei confronti dei partiti si sia ridotta al minimo, come dimostra il forte astensionismo alle elezioni, e quella verso il Parlamento tocchi percentuali al di sotto del 10% , l’opinione pubblica sogna presidenzialismi o addirittura, nel 70% degli intervistati da Demos, prefigura la necessità di un “uomo forte”.
Insieme al baratro che si è avuto nel rapporto tra elettori ed eletti, è del tutto evidente che i primi non si riconoscono più quali mandanti della delega verso i secondi che evidentemente obbediscono ad altri agenti di natura economica, finanziaria o sociale.
Rispetto alla crisi devastante della politica che abbiamo cercato di analizzare, sia pure schematicamente, rimangono gravi le responsabilità delle forze politiche di Destra e di Sinistra che stanno portando l’Italia al tracollo economico e che, per puri interessi personali o di partito, girano demagogicamente intorno al problema fondamentale del Paese: lo sviluppo economico ed il diritto al lavoro per tutti i cittadini.
Le nuove diseguaglianze generano conflitti rispetto ai quali occorre assumere nuove e responsabili consapevolezze per decidere come risolverli e soprattutto da quale parte stare.
Nei riguardi di tale questione esiste ed è pesante un forte appannamento, se non una vera e propria mancanza di lucidità, nell’impegno della Sinistra, rispetto alla quale il tema non ci sembra quello di una sua ridefinizione in termini culturali, ideologici e politici, come prova a fare Marco Revelli in un suo recente saggio pubblicato da Laterza, ma piuttosto quello di ridisegnarne l’impegno rispetto ai nuovi problemi sociali che si delineano nel presente e per il futuro.
La Sinistra è una visione del mondo che affonda sui principi della Rivoluzione Francese e da essi parte per costruire la giustizia sociale; il problema, a nostro avviso, per chi vi si riconosce, non è tanto quello delle idealità di riferimento, ma uno stile di vita concreto e conseguente che possa realizzare il modello di società al quale si pensa.
La Sinistra allora non può essere un abito per apparire, come lo è stato in passato e lo è tuttora per tanti uomini politici capaci solo di affermazioni di principio e poi testimoni al contrario di posizioni esistenziali equivoche e contraddittorie.
Essere di Sinistra, per dirla con Sergio Staino, “è una disposizione mentale ed etica ed un atteggiamento di fondamentale bontà verso l’uomo ed il mondo”.
Il lessico di tale componente politica viene fuori da un’indagine del quotidiano “La Repubblica” e parla di diritto al lavoro, equità, uguaglianza, redistribuzione, democrazia reale, bene comune, libertà, legalità, moralità, pace e dignità.
Se questi sono gli obiettivi politici della Sinistra, non dovrebbe essere difficile riconoscere chi vi appartiene e chi invece vi abita solo per convenienze.
Le reti di interessi, la commistione indifferenziata tra Destra e Sinistra e l’incapacità di quest’ultima a definire con chiarezza ed onestà le proprie posizioni sui conflitti sociali derivano sicuramente da ipocrisie ed incapacità sulle quali occorre riflettere per trovare percorsi nuovi e credibili.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
In questo primo articolo della Costituzione della Repubblica Italiana ci sono tre principi che i padri costituenti hanno voluto porre a fondamento dello Stato nato dopo la dittatura fascista: lavoro, democrazia e sovranità popolare.
Intanto si afferma con chiarezza come solo la sicurezza di un lavoro riesce a rendere libero il cittadino, mentre la precarietà di vita è causa di soggezione o addirittura di schiavitù mentale.
La democrazia come espressione della volontà popolare attraverso il voto è un altro elemento che connota la nuova società del dopoguerra.
Infine la sovranità del popolo, non riducibile alla periodica selezione dei rappresentanti dei cittadini nelle sedi istituzionali, ma consistente nelle decisioni sistematiche relative ai diversi problemi da affrontare e risolvere, è il terzo pilastro posto alla base della convivenza tra gli italiani.
Questi capisaldi sono oggi messi fortemente in discussione da una politica che ama definirsi post ideologica o ad estensione pragmatica, ma che invece, a nostro avviso, è pervasa ormai unicamente da una volontà di affermazione personalistica di soggetti individuali o di gruppi che si pongono chiaramente al di sopra ed al di là del “noi” per la ricerca esclusiva di potere e prestigio.
Le stesse elezioni diventano una finzione e si arriva ad un parlamento di nominati che nel loro mandato non rispondono più ai cittadini, ma a partiti trasformati in comitati al servizio di un leader o peggio ancora a lobbies economiche e finanziarie.
I nuovi sistemi tecnologici, capaci di rafforzare non solo la democrazia rappresentativa, ma anche quella diretta, hanno finito invece per negare una conquista generalizzata dello spazio sociale e della velocità di comunicazione; così l’impossibilità di accesso per tutti al sistema dei media ed al web produce, come sostiene Zygmunt Bauman, un nuovo patrimonialismo, nuove forme di oligarchie delocalizzate, gruppi economici transnazionali che, in maniera egoistica ed irresponsabile, ripropongono una personalizzazione del potere a loro uso esclusivo con una rifeudalizzazione della società in cui la cerchia dei signori che domina lo spazio globale riduce in sudditanza chi è vincolato ad un universo di vita angusto.
In un quadro del genere le istituzioni diventano un ingombro e si tenta di ridurne il ruolo di rappresentanza, colpendo al cuore una democrazia che, tra populismi e culto della personalità, non sta diventando “ibrida”, come la definisce Ilvo Diamanti, ma sta perdendo tutte le forme di rappresentanza e di sovranità popolare.
A questo ed a null’altro mirano i tentativi di revisione costituzionale, le caotiche manovre di modifica dell’assetto istituzionale, i funambolismi con cui si occupa il potere senza alcun mandato elettorale ed infine lo smantellamento dello stato sociale.
È ciò che sta avvenendo in questi giorni da parte del governo Renzi, il quale lancia annunci sconsiderati e tenta di convertili in leggi dello Stato non solo senza consultazione popolare attraverso le reti di rappresentanza, ma addirittura con ipotesi di voti di fiducia che riducono a zero perfino il confronto parlamentare.
Ecco allora il Jobs Act che non è l’estensione del diritto ad un lavoro certo per tutti, ma una precarizzazione dello stesso funzionale alla diminuzione dei costi di produzione ed alla completa presa in carico da parte dello Stato della disoccupazione nel Paese.
Sarebbero richieste dell’Europa, così almeno si sostiene; in realtà sono i diktat delle oligarchie finanziarie.
Eppure, amici lettori, è paradossale ed inspiegabile, ma, nonostante la fiducia degli italiani nei confronti dei partiti si sia ridotta al minimo, come dimostra il forte astensionismo alle elezioni, e quella verso il Parlamento tocchi percentuali al di sotto del 10% , l’opinione pubblica sogna presidenzialismi o addirittura, nel 70% degli intervistati da Demos, prefigura la necessità di un “uomo forte”.
Insieme al baratro che si è avuto nel rapporto tra elettori ed eletti, è del tutto evidente che i primi non si riconoscono più quali mandanti della delega verso i secondi che evidentemente obbediscono ad altri agenti di natura economica, finanziaria o sociale.
Rispetto alla crisi devastante della politica che abbiamo cercato di analizzare, sia pure schematicamente, rimangono gravi le responsabilità delle forze politiche di Destra e di Sinistra che stanno portando l’Italia al tracollo economico e che, per puri interessi personali o di partito, girano demagogicamente intorno al problema fondamentale del Paese: lo sviluppo economico ed il diritto al lavoro per tutti i cittadini.
Le nuove diseguaglianze generano conflitti rispetto ai quali occorre assumere nuove e responsabili consapevolezze per decidere come risolverli e soprattutto da quale parte stare.
Nei riguardi di tale questione esiste ed è pesante un forte appannamento, se non una vera e propria mancanza di lucidità, nell’impegno della Sinistra, rispetto alla quale il tema non ci sembra quello di una sua ridefinizione in termini culturali, ideologici e politici, come prova a fare Marco Revelli in un suo recente saggio pubblicato da Laterza, ma piuttosto quello di ridisegnarne l’impegno rispetto ai nuovi problemi sociali che si delineano nel presente e per il futuro.
La Sinistra è una visione del mondo che affonda sui principi della Rivoluzione Francese e da essi parte per costruire la giustizia sociale; il problema, a nostro avviso, per chi vi si riconosce, non è tanto quello delle idealità di riferimento, ma uno stile di vita concreto e conseguente che possa realizzare il modello di società al quale si pensa.
La Sinistra allora non può essere un abito per apparire, come lo è stato in passato e lo è tuttora per tanti uomini politici capaci solo di affermazioni di principio e poi testimoni al contrario di posizioni esistenziali equivoche e contraddittorie.
Essere di Sinistra, per dirla con Sergio Staino, “è una disposizione mentale ed etica ed un atteggiamento di fondamentale bontà verso l’uomo ed il mondo”.
Il lessico di tale componente politica viene fuori da un’indagine del quotidiano “La Repubblica” e parla di diritto al lavoro, equità, uguaglianza, redistribuzione, democrazia reale, bene comune, libertà, legalità, moralità, pace e dignità.
Se questi sono gli obiettivi politici della Sinistra, non dovrebbe essere difficile riconoscere chi vi appartiene e chi invece vi abita solo per convenienze.
Le reti di interessi, la commistione indifferenziata tra Destra e Sinistra e l’incapacità di quest’ultima a definire con chiarezza ed onestà le proprie posizioni sui conflitti sociali derivano sicuramente da ipocrisie ed incapacità sulle quali occorre riflettere per trovare percorsi nuovi e credibili.
(Umberto Berardo – 6 ottobre 2014)
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