Dna elettorale



Settimane di canne da pesca. Di caccia grossa. L’odore delle urne, appuntamento ormai annuale (dopo le “primarie” ci mancano soltanto le “condominiali”) solletica attenzioni – non proprio disinteressate – verso ogni forma animata di “aggregazione umana”. Munita di preziosi certificati elettorali. Mirini puntati, allora, ai sodalizi più originali, alle associazioni di primo pelo e di lungo corso, ai club giovanili e ai circoli di arzilli nonnetti, alle alleanze laiche ma anche alle congreghe religiose. Lavoro di “tu” facile, lessicale e telefonico.
Il candidato è uno straordinario rabdomante. Altro che privacy. Riscopre l’elenco dei parenti, riesuma agende di amicizie, ingolfa con lettere ammonitrici ogni pertugio di cassetta postale disponibile, smanetta come un adolescente con le nuove tecnologie, organizza incontri stile Herbalife, Avon o Stanhome. Socializza con genitori pentiti, padroni di cani depressi, negozianti usurai e soprattutto con casalinghe che per tirare avanti non si fanno scrupoli. Offre indegne cene spappolafegato, discorsetto compreso, a coorti di illusi valvassini e di sfigati valvassori. Mangi tu che mangio anch’io.
E’ il “new deal” della politica, bella gente. Che necessita di studio e di aggiornamento. Perché l’imperativo è “districarsi”. Nella giungla di coloratissimi loghi e nella selva degli ossimori: democratici un po’ monarchici, imprenditori tanto operai, consumatori già consumati, leghisti made in Sicilia, preti antagonisti, comunisti radicalchic e postcomunisti salottieri, neofasciste femministe, socialisti culattoni, padroni sindacalisti, repubblicani ambidestri, socialdemocratici socialdemocratici. Con un po’ di “liberal” per tutti, al limite con qualche variante nei suffissi, dai liberisti ai libertari. S’attendono smentite.
Ma occorre “districarsi” soprattutto tra ciò che sembra già acquisito. Pensi di andare alla cena di uno di Forza Italia, perché li si rimorchia meglio, e scopri che quello è finito con l’Udeur di Mastella dopo aver flirtato con Follini e con Di Pietro. In periodo di magra ti rivolgi all’amico che organizzava il buffet economico alle Feste dell’Unità e oggi ti chiede 100 euro per una cena di sostegno a Zingaretti. Valla a capire la politica.
Anche le povere associazioni regionali della Capitale, che vivacchiano come orsetti panda in una società sempre più multietnica e globalizzante, non si sottraggono alla regola. Ignorate per stagioni intere, all’improvviso diventano l’agognato porto dove far attraccare navi cariche di strette di mano, di qualche battutina politica e soprattutto di riferimenti geografici quando sbucano basilari legami tra il candidato e la sua vecchia donna di servizio “che era di San Donato Val di Comino” o il professore delle medie “originario di Pietracatella” e vuoi mettere, ora che ci penso, i bisnonni di Sgurgola Marsicana o persino qualche parente di Re di Puglia, prima di scoprire, nella conferenza all’Associazione Pugliese, che non si trova vicino Taranto ma in Friuli. E non stupisce allora colui che approda nelle associazioni della Basilicata convinto che il nonno di Isernia fosse un lucano. Sono i fiori all’occhiello da Guida Michelin, sicuri acchiappavoti nella crescente inquietudine.
Del resto cosa si vuole di più dalla vita di una bella associazione etnica pronta ad offrire frotte di pensionati contenti di contare finalmente qualcosa per qualcuno (sia pure ignorante in geografia)? Brindiamo al Mòlise (s’accenta così?), anche se non sappiamo come ci si arrivi (con la Roma-L’Aquila?)…
(Erennio Ponzio)

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