Prima striduli guaiti emessi dopo le pedate ricevute crudelmente dagli elettori nelle amministrative e nei referenda, poi rabbiosi latrati per intimare il trasferimento dei ministeri in Brianza o la fine della guerra in Libia. Poi come al solito i celoduristi si ammosciano e
vanno ad accucciarsi sotto lo scranno di Berlusconi a Montecitorio.
Non prima però di aver portato, scodinzolando giulivi, le pantofole (vale a dire i voti), e leccato, con gli occhi umidi, le mani al padrone.
Un branco di mediocri xenofobi razzisti hanno turlupinato per venti anni gli imbecillotti incitandoli con gli slogan contro Roma Ladrona, una volta nella capitale si sono specializzati alla svelta nel latrocinio, (occupando poltrone e piazzando figli pluripetenti in Consiglio regionale a 12mila euro al mese). Adesso sentono l’addensarsi della tempesta e si illudono di trovare una scialuppa di salvataggio. Il natante ha le sembianze di Roberto Maroni che da azzanna-polpacci si ritrova catapultato (negli striscioni di Pontida) nientemeno che alla Presidenza del Consiglio.
Immaginiamo che da quando Silvio è triste i suoi sodali per tirarlo su si prodigano con barzellette: la storiella di Maroni a Palazzo Chigi (per quanto non troppo spinta come piace al Sultano) in fondo è un po’ meglio della settantreesima replica della mela dal sapore
esotico o delle freddure su Rosi Bindi.
Qualcuno dei beceri in camicia verde (come le tasche dei contribuenti che contribuiscono a svuotare) crede che dopo 18 anni passati a tenere il sacco a Berlusconi – blaterando quattro boiate sul federalismo e la secessione, per imbonire le schiere dai copricapi cornuti – basti un discorso sconclusionato di Bossi a Pontida per sottrarsi al naufragio e riempire l’ampolla. Nemmeno dopo le batoste elettorali si sono resi conto di quanto la gente ne abbia pieni i mar(r)oni.
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