Senso, forme e valore del volontariato

Il periodo della pandemia in una vita vissuta all’interno della famiglia nucleare o in situazioni
virtuali ha spinto ormai un numero sempre più crescente di popolazione a chiudersi al rapporto con
gli altri manifestando spesso indifferenza per i problemi che molti affrontano e più in generale per
un’organizzazione sociale che tiene in condizione di precarietà e bisogno una percentuale non
irrilevante di nostri simili.

Premesso che l’impegno fondamentale di ciascuno con la responsabilità politica e la
rivendicazione dei diritti dovrebbe essere quello della creazione della giustizia sociale
promuovendo la piena occupazione e la realizzazione di un’equa redistribuzione della ricchezza
conseguita, c’è, in assenza di tale condizione esistenziale, la necessità umana, in chi ne ha la
possibilità e i mezzi, di porre in essere delle attività di sostegno per quanti senza ritegno vengono
lasciati in una situazione di povertà relativa o assoluta.

Uscendo allora dalla prigione di un individualismo esasperato o dall’ipocrisia di una solidarietà
puramente formale, pelosa e declamata, ci sono persone che donano in assoluta gratuità parte dei
loro averi e del proprio tempo aprendosi in modo empatico alle esigenze di chi si trova
nell’insicurezza.

Si tratta di quella che viene definita attività di volontariato e che è svolta in maniera individuale o
collettiva in associazioni istituite per scopi benefici.

È nel 1851 che negli Stati Uniti d’America nasce il primo YMCA, un’organizzazione cristiana
ecumenica a sostegno degli schiavi.

Clara Barton fonda successivamente la Croce Rossa americana nel 1881 e poi gli enti autonomi o
giuridicamente costituiti si moltiplicano un po’ ovunque nel mondo soprattutto quando intorno alla
metà del Novecento entra in crisi il welfare non riuscendo più gli Stati a dare risposte adeguate ai
bisogni sociali o rinunciando a tale compito essenziale a beneficio di organizzazioni gestite da
privati o associazioni.

Regolato da disposizioni piuttosto recenti come il decreto legislativo 460/1997 che istituisce le
ONLUS, la legge-quadro 328/2000 per la realizzazione del sistema integrato dei servizi sociali, la
legge 383/2000 che dà vita alle associazioni di promozione sociale e il decreto legislativo 3 luglio
2017 n. 117 con cui prende il via la riforma del Terzo Settore, in Italia lo sviluppo del volontariato
assume forme davvero efficienti innestandosi soprattutto sulla tradizione culturale liberale, cattolica
e socialista.

Negli atti costitutivi o negli statuti degli enti relativi è previsto che si definisca chiaramente
l’assenza di un fine di lucro, la democraticità della struttura, l’elettività e la gratuità delle cariche
associative come delle prestazioni fornite dagli aderenti, i criteri di ammissione e di esclusione degli
stessi, i loro obblighi e diritti, il vincolo di formazione del bilancio.

Le risorse vengono attinte da contributi dello Stato o da donazioni.

Esistono enti in cui è prevista unicamente attività volontaria e gratuita da parte degli aderenti, ma
ve ne sono anche altri nei quali è presente personale retribuito.

Se si passa da un’attività puramente assistenziale a una produzione di servizi sociali, si rientra nel
settore degli organismi non profit come le fondazioni, le ONLU o le ONG.

Non mancano critiche al mondo del volontariato che partono già da Ivan Illic e da Paulo Freire
secondo i quali tali attività private sono una sfida e una sostituzione indebita di prestazioni che
dovrebbero essere fornite dallo Stato e rischiano l’estensione del potere e l’imposizione di modelli
culturali esterni presso le popolazioni indigene delle aree geografiche in cui i volontari
intervengono.

Saremmo a loro avviso anche a un’apologia del terzo settore presentato come àmbito sottratto alla
relazione mercantile.

Nel saggio di Giovanni Moro “Contro il non profit” edito da Laterza nel 2014 si pongono poi
quattro ordini di criticità: l’ambivalenza della definizione “non profit”, che in molti casi definisce
un’attività che è tale solo in apparenza, le difficoltà in fase di controllo, il suo carattere privato e
“l’economicismo” ovvero la finalità, o meglio la presunzione, di produrre beni e servizi e di creare
un’occupazione che rischia la mercantilizzazione del valore sociale dell’attività di volontariato.

Aldo Giannuli ha cercato di metterci in guardia da attività di volontariato legate
all’improvvisazione, a forme di narcisismo o ad abusi di finte associazioni benefiche.
C’è ancora chi giustamente pensa che lavoro e volontariato debbano rimanere assolutamente
distinti per impedire gli abusi di quanti magari anche in enti non profit utilizzano volontari
sottopagati o retribuiti in nero solo perché non vogliono pagare stipendi previsti dalla normativa
vigente.

Una cosa chiara è che un tale sistema di solidarietà non può essere assolutamente utilizzato per
sostituire posizioni d’ingresso a bassa retribuzione nel mercato del lavoro.

I problemi verificatisi nel rapporto tra le aziende ospedaliere e le organizzazioni cui è stato
affidato in convenzione, in base all’art. 57 del Codice del Terzo settore, il servizio del 118 spesso
con personale volontario non contrattualizzato dovrebbero farci riflettere sulla necessità che talune
prestazioni rimangano di assoluta competenza statale e a gestione pubblica.

È del tutto evidente come il mondo del volontariato vada osservato con attenzione, liberato da
forme illecite e ridefinito sistematicamente.

La sua funzione, che non deve mai sostituire i compiti delle istituzioni pubbliche, non può essere
solo quella di esplorare i bisogni e diffondere la cultura della solidarietà, ma va indirizzata a un
lavoro di programmazione delle politiche sociali e di valutazione dei servizi relativi sperimentando
risposte innovative ai problemi per un nuovo welfare universale e dunque statale.

Ciò significa chiaramente che le questioni sociali non vanno certo risolte con il volontariato, ma
attraverso rivendicazioni forti dei diritti e la definizione di misure politiche capaci di condurci alla
giustizia sociale.

Le associazioni non profit possono dare un utile contributo in tale direzione se non si riducono a
pura filantropia, ma diventano movimentiste ovvero capaci di farci uscire dalle logiche mercantili e
neoliberiste per costruire finalmente un’economia sociale non più in linea con i sistemi del mercato
e di un mondo finanziario che genera sempre più disuguaglianze.

Ha perfettamente ragione l’economista Stefano Zamagni nel sostenere che “La filantropia si basa
sul dono come “munus”, come concessione che crea dipendenza in chi la riceve; il volontariato
invece ha come fondamento il dono come reciprocità che crea legame sociale e relazioni tra le
persone.”

La Caritas diocesana di Trivento (CB), diretta da don Alberto Conti con cui collaboro ormai da
più di trent’anni, opera in questa direzione e, insieme a interventi di carattere umanitario e solidale,
promuove ricerca culturale, disegna proposte politiche, conduce indagini sui problemi del territorio,
istituisce corsi di preparazione professionale per i giovani, sostiene l’educazione
all’imprenditorialità e finanzia progetti di sviluppo economico soprattutto nel settore
dell’agricoltura, dell’allevamento e dell’artigianato.

Durante la pandemia, nel violento terremoto in Turchia e Siria, ma anche più di recente
nell’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna o nel terremoto in Marocco come nella tempesta
Daniel che ha sferzato la Libia orientale abbiamo toccato con mano tutta l’utilità delle associazioni
di volontariato nel sostegno a chi vive in certi momenti autentiche tragedie che sconvolgono
l’esistenza di famiglie e talora di intere popolazioni.

In tali occasioni esse si muovono con celerità, efficienza e imparzialità anche grazie alla
sensibilità di tante persone che le sostengono sul piano economico con donazioni molto generose.
Mentre operiamo politicamente perché si arrivi a un adeguato Welfare e poi alla piena
occupazione e alla giustizia sociale, credo abbiamo anche il dovere civico d’incarnare e
testimoniare il valore culturale irrinunciabile del dono come reciprocità e capacità relazionale.

Per operare in questa direzione occorre educare al volontariato rendendolo sempre meno
improvvisato e più competente sul piano operativo ma anche trasparente nella responsabilità
finanziaria.
L’attività di chi si pone gratuitamente al servizio degli altri non solo dà vantaggi all’intera
collettività, ma ha un grande valore aggiunto sul piano psicologico e sociale perché, soprattutto
negli anziani, riduce la solitudine, aumenta la cerchia delle relazioni, contagia nell’emulazione,
trasmette sicurezza, infonde serenità in quanto, come sostiene Erich From, dare costituisce la più
alta espressione di potenza, di ricchezza, di felicità e di vita.
In questo mare di necessità è importante allora buttare piccole gocce di sostegno ed essere vicini
a chi per colpa dell’egoismo vive ancora in stato di bisogno.
La solidarietà in ogni caso dal mio punto di vista di cittadino e di cristiano è ancora un surrogato
di un valore vero e profondo che è quello della condivisione e nondimeno è necessaria fino a
quando non saremo capaci di realizzare inclusione e giustizia sociale.
Certo avremo bisogno di lavorare a lungo per superare le discriminazioni sociali e giungere a
relazioni di sicurezza reciproca e alla condivisione dei beni vitali garantendo davvero a tutti uguali
condizioni di vita.

(Umberto Berardo)

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